Fasi evolutive del linguaggio umano
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Tendiamo a pensare all'uomo primitivo in modo errato a causa della limitatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione; infatti, nella valutazione del grado di raffinatezza di una civiltà scomparsa, pesano sia la deteriorabilità dei materiali sia l'immaterialità delle tracce simboliche della cultura; a questo proposito l'antropologo e linguista Terrence W.Deacon nel suo libro 'La specie simbolica' scrive: "I fattori primari che determinano cosa si rinviene e cosa va perduto a distanza di decine di migliaia, o milioni, di anni sono la deteriorabilità o la fragilità del materiale e la natura degli ambienti in cui sono stati lasciati. In parole povere, vuol dire che gli utensili in pietra sono reperti fossili conservati, quelli in legno o cuoio no; oppure che le pitture sulle pareti delle grotte e le incisioni su pietra o avorio vengono preservate, ma non le decorazioni del corpo, i vestiti, le sculture di legno e quant'altro. La prevalenza dell'uso di simboli in una società, escludendo pure il linguaggio, non è nemmeno incorporata in alcun materiale, ma solo in rituali, consuetudini, e regole di vita quotidiana." Il linguista Derek Bickerton, negli anni '70, avanzò l'ipotesi che il linguaggio moderno sia piuttosto recente e che, in tempi più lontani, l'essere umano impiegasse un protolinguaggio, cioè un linguaggio rudimentale semplificato. Bickerton propose l'idea che l'evoluzione linguistica sia avvenuta in due tappe: dal protolinguaggio dell'Homo erectus (un protolinguaggio composto da un lessico ridotto e nessuna organizzazione grammaticale), al linguaggio complesso dell'Homo sapiens sapiens. Bickerton propose inoltre l'idea che l'introduzione di questo protolinguaggio abbia determinato un salto di qualità nell'organizzazione cerebrale e nel pensiero umano; infatti si può immaginare che la rappresentazione dei simboli linguistici, svincolata da una risposta motoria, si sia legata a rappresentazioni astratte, cioè a simboli con una pressione evolutiva richiedente un cervello di maggiori dimensioni.
Solo un grande numero di benefici adattativi può spiegare lo sforzo che la specie Homo fece per dotarsi di un linguaggio sempre più complesso: dovevano essere benefici così importanti per la sopravvivenza della specie da rendere fondamentale tale sforzo di apprendimento. A questo proposito scrive Deacon: "Si potrebbe intessere un racconto plausibile praticamente da quasi ciascuna delle miriadi di potenziali vantaggi propri di una comunicazione più efficiente: organizzare le battute di caccia; spartirsi il cibo; comunicare informazioni sulle fonti di cibo distribuite; pianificare la guerra e la difesa; trasmettere l'abilità nella creazione di utensili; condividere importanti esperienze passate; stabilire legami sociali tra individui; manipolare potenziali rivali o partner sessuali; accudire e addestrare i giovani; e si potrebbe proseguire." Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri. Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata" (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni) che è diventato il paradigma della comunicazione di massa e, oggi, del web (che viene impropriamente chiamato mondo virtuale ma che è solo una parte del mondo virtuale di ogni individuo). L'essere umano è il solo a poter vivere, non solo nel mondo reale, ma anche in molti "mondi possibili".
La falsa semplificazione del morphing facciale dell'evoluzione umana
Pensando all'evoluzione, ci viene naturale immaginare una sorta di morphing tra le specie. Dovremmo però essere prudenti a lasciare che le nostre immagini del cambiamento evolutivo dirigano il nostro pensiero al morphing. [...] Mai è esistita una creatura metà scimmione-metà uomo, leggermente più stupida della prevalenza delle persone ma un poco più assennata della maggior parte degli scimpanzè; una creatura che comunicasse con un mezzo linguaggio. Non possiamo limitarci a estrapolare a ritroso dalle specie presenti e dai loro adattamenti uno stato che precedette il linguaggio e la cultura. Piuttosto, dobbiamo ricostruire gli adattamenti delle specie nostre antenate, appellandoci ai principi dell'ecologia del comportamento, della fisiologia, e dell'informazione sulla struttura e l'attività del cervello. (Terrence Deacon p.364)
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ORIGINE DEL LINGUAGGIO: Almeno due teorie si contendono le ipotesi sull'origine del linguaggio: la teoria della discontinuità di Noam Chomsky e la teoria del protolinguaggio di Derek Bickerton.
Bickerton propone che gli ominidi abbiano incominciato a parlare un linguaggio molto rudimentale, un protolinguaggio composto solo da parole e privo di grammatica la cui comprensibilità era affidata al contesto d'uso.
Chomsky rigetta le teorie evoluzioniste del linguaggio e sostiene che il linguaggio attinge a una dotazione biologica innata, appartenente al DNA umano, non derivante da sistemi comunicativi precedenti. Egli ipotizza che alcuni elementi sconnessi si siano aggregati in modo imprevisto e abbiano formato la grammatica universale. Questa ipotesi è detta del "salto linguistico".
Non si sa ancora quale delle due teorie sia più vicina al vero.
Punti di riflessione
La comunicazione simbolica è stata, per l'antropologo Terrence Deacon, la causa principale dell'incremento evolutivo della neocorteccia a partire dall'Homo erectus.
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Lo scopo principale del linguaggio che è quello di "umanizzare" l'uomo consentendogli di condividere la sua sofferenza. La disumanizzazione inizia sempre da un degrado del linguaggio, che vuole trasformare l'uomo in un automa, incapace di fare (o farsi) domande e di pensare criticamente.
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La realtà fisica sembra retrocedere via via che l'attività simbolica dell'uomo avanza. (Ernst Cassirer)
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In Giovanni 1:14 la Bibbia dice che “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. In un certo senso, questa citazione parla della coevoluzione tra arte/simbolismo e cervello. La “parola” simbolica non è solo il linguaggio, ma tutte le forme di arte simbolica e di mezzi comunicativi. Quando la “parola” diventa “carne” vediamo una congiunzione del mondo fisico e del mondo simbolico; una dimensione extra che comprende emozione, comunicazione ed espressione attraverso il linguaggio e l’arte. Quindi, ciò che definisce l’Homo sapiens come una specie come nessun’altra non è la nostra capacità di costruire città, formare strutture sociali o addirittura parlare, ma è invece il nostro ruolo di “specie simbolica”. (Un antropologo)
Tendiamo a pensare all'uomo primitivo in modo errato a causa della limitatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione; infatti, nella valutazione del grado di raffinatezza di una civiltà scomparsa, pesano sia la deteriorabilità dei materiali sia l'immaterialità delle tracce simboliche della cultura
L'idea che abbiamo dei primitivi è fuorviante
Tendiamo a pensare all'uomo primitivo in modo errato a causa della limitatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione; infatti, nella valutazione del grado di raffinatezza di una civiltà scomparsa, pesano sia la deteriorabilità dei materiali sia l'immaterialità delle tracce simboliche della cultura; a questo proposito scrive l'antropologo e linguista Terrence W.Deacon nel suo libro 'La specie simbolica':
(.354) I fattori primari che determinano cosa si rinviene e cosa va perduto a distanza di decine di migliaia, o milioni, di anni sono la deteriorabilità o la fragilità del materiale e la natura degli ambienti in cui sono stati lasciati. In parole povere, vuol dire che gli utensili in pietra sono reperti fossili conservati, quelli in legno o cuoio no; oppure che le pitture sulle pareti delle grotte e le incisioni su pietra o avorio vengono preservate, ma non le decorazioni del corpo, i vestiti, le sculture di legno e quant'altro. La prevalenza dell'uso di simboli in una società, escludendo pure il linguaggio, non è nemmeno incorporata in alcun materiale, ma solo in rituali, consuetudini, e regole di vita quotidiana.(p. 91) Le lingue del mondo si sono evolute spontaneamente. Non sono state progettate. Se le concepiamo come sistemo inventati di regole e simboli, intenzionalmente assemblati per formare sistemi logici, allora saremmo propensi ad assegnare un'utilità e uno scopo dove non ve ne sono. Oppure a interpretare come idiosincratico o inelegante ciò in cui non scorgiamo un progetto. Le lingue però rassomigliano molto più a organismi viventi che a dimostrazioni matematiche. Il principio fondamentale che ne ispira il progetto non è l'utilità comunicativa, ma la riproduzione: la nostra e la loro. Allora, è verosimile che lo strumento per analizzare la struttura del linguaggio non sia scoprire come crearne al meglio modelli sotto forma di sistemi di regole assiomatiche, ma studiarli come studiamo la struttura degli organismi viventi: in termini evolutivi.(p.337) La dinamica evoluzionistica tra processi sociali e biologici fu l'architetto del cervello umano moderno, ed è qui la chiave per capire la successiva evoluzione di una serie di adattamenti senza precedenti al linguaggio. E' un notevole mutamento di prospettiva rispetto all'innatismo monolitico, alla concezione, cioè, che l'istinto degli esseri umani per il linguaggio sia una finzione unitaria e modulare: uno strumento di acquisizione del linguaggio. Viceversa i processi coevolutivi hanno prodotto un'ampia serie di inclinazioni percettive, motorie e di apprendimento, per non parlare di quelle emotive, che diminuiscono lievemente, ciascuna, la pronabilità di fallire nel gioco del linguaggio.(p.354) La prevalenza dell'uso di simboli in una società, escludendo pure il linguaggio, non è nemmeno incorporata in alcun materiale, ma solo in rituali, consuetudini, e regole di vita quotidiana. Della maggior parte dei manufatti sappiamo che nella quasi totalità sono costituiti da materiale deperibile.
Quattro modelli per spiegare il linguaggio (Immagini mentali, Skinner, Chomsky, Pinker)
Quattro rappresentazioni canoniche di alcuni dei principali paradigmi teorici proposti per spiegare le basi del linguaggio umano. In alto a sinistra: l'idea che il significato di una parola si crei quando la percezione del suono di una parola pronunciata è associata a un oggetto sia come percepito che come immagazzinato nella mente sotto forma di immagine tentativa. In questa visione semplice e basata sul buon senso, mettere insieme le parole in una frase porta l'ascoltatore a riunire le immagini nella mente. In alto a destra: l'idea che sia il significato delle parole che la conoscenza della struttura del linguaggio vengono appresi interiorizzando modelli di probabilità associative che collegano le parole tra loro e collegando parole e oggetti. B. F Skinner è stato il più eminente difensore di questa visione, ma recentemente versioni più sofisticate di questa idea di base sono state riformulate con l'aiuto delle conoscenze acquisite studiando processi di apprendimento distribuiti paralleli. La conoscenza del linguaggio è rappresentata come analoga ai modelli di connessione distribuiti in una rete neurale. In basso a sinistra: una delle visioni più influenti della conoscenza grammaticale la concepisce come incorporata prima dell'esperienza linguistica, come il firmware in un computer desktop (raffigurato come un chip inserito nel cervello). La struttura del linguaggio è imposta su stringhe di parole (che presumibilmente avrebbero ancora significato, solo meno utili, senza questa struttura). Questa visione fu formulata esplicitamente per la prima volta dal linguista Noam Chomsky. In basso a destra: La visione innatista estrema della conoscenza della lingua la concepisce come un riflesso esterno di una lingua franca interna del cervello chiamata "mentalese". Nelle parole di Steven Pinker (The Language Instinct, p. 82), "Conoscere una lingua , quindi, è sapere come tradurre il mentalese in stringhe di parole e viceversa. Le persone senza linguaggio avrebbero ancora il mentalese, e i bambini e molti animali non umani presumibilmente hanno dialetti più semplici. In effetti, se i bambini non avessero un mentalese da tradurre da e verso inglese, non è chiaro come potrebbe avvenire l'apprendimento dell'inglese, o anche cosa significherebbe imparare l'inglese." Nessuna di queste opinioni fornisce una spiegazione soddisfacente del paradosso esplorato in questo capitolo.
Due teorie tentano di spiegare l'origine del linguaggio
Almeno due teorie si contendono le ipotesi sull'origine del linguaggio: la teoria della discontinuità di Noam Chomsky e la teoria del protolinguaggio di Derek Bickerton.
Bickerton propone che gli ominidi abbiano incominciato a parlare un linguaggio molto rudimentale, un protolinguaggio composto solo da parole e privo di grammatica la cui comprensibilità era affidata al contesto d'uso. Non si sa ancora quale delle due teorie sia più vicina al vero.
Bickerton propone che gli ominidi abbiano incominciato a parlare un linguaggio molto rudimentale, un protolinguaggio composto solo da parole e privo di grammatica la cui comprensibilità era affidata al contesto d'uso. Non si sa ancora quale delle due teorie sia più vicina al vero.
Chomsky rigetta le teorie evoluzioniste del linguaggio e sostiene che il linguaggio attinge a una dotazione biologica innata, appartenente al DNA umano, non derivante da sistemi comunicativi precedenti. Egli ipotizza che alcuni elementi sconnessi si siano aggregati in modo imprevisto e abbiano formato la grammatica universale. Questa ipotesi è detta del "salto linguistico".
Due teorie si contendono le ipotesi sull'origine del linguaggio: la teoria della discontinuità di Noam Chomsky e la teoria del protolinguaggio di Derek Bickerton
Un protolinguaggio a partire dall'Homo erectus
Il linguista Derek Bickerton, negli anni '70, avanzò l'ipotesi che il linguaggio moderno sia piuttosto recente e che, in tempi più lontani, l'essere umano impiegasse un protolinguaggio, cioè un linguaggio rudimentale semplificato. Egli derivò tale ipotesi dai suoi studi degli anni '70 sulle lingue pidgin delle isole Hawaii. Le lingue pidgin sono lingue semplificate che si formano nelle situazioni in cui gruppi multietnici (coloni, migranti, lavoratori, ecc.) sono costretti a comunicare tra loro, pur continuando singolarmente ad usare la propria lingua nel gruppo di provenienza. Il pidgin studiato da Bickerton era un miscuglio di cinese, giapponese, portoghese, filippino, inglese e lingue locali parlate da lavoratori attratti dal lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero alla fine dell'800. Dagli studi di Bickerton emerse che quando il pidgin viene impiegato anche da generazioni successive a quelle che lo hanno creato, esso si trasforma in una lingua creola dotata di un lessico e di una grammatica più articolata. Il fenomeno della creazione di lingue pidgin e creole è avvenuto in varie parti del mondo, sempre con le stesse caratteristiche, ed ha portato Bickerton alla convinzione che la lingua non sia un tutt'uno bensì un insieme di sistemi sovrapposti alla cui origine potrebbe esservi un linguaggio molto semplice: un protolinguaggio. Tracce di questo protolinguaggio, secondo il linguista Ray Jackendoff, sono visibili anche oggi in quei casi di mancato sviluppo o impoverimento del linguaggio nei pazienti afasici o nei bambini cresciuti in isolamento. Bickerton propose l'idea che l'evoluzione linguistica sia avvenuta in due tappe: dal protolinguaggio dell'Homo erectus (un protolinguaggio composto da un lessico ridotto e nessuna organizzazione grammaticale), al linguaggio complesso dell'Homo sapiens sapiens. Bickerton propose inoltre l'idea che l'introduzione di questo protolinguaggio abbia determinato un salto di qualità nell'organizzazione cerebrale e nel pensiero umano; infatti si può immaginare che la rappresentazione dei simboli linguistici, svincolata da una risposta motoria, si sia legata a rappresentazioni astratte, cioè a simboli con una pressione evolutiva richiedente un cervello di maggiori dimensioni.
Fasi evolutive del linguaggio secondo Bickerton
- Fase1: Creazione di prelinguaggi (a partire da Homo habilis)
- Fase 2: Creazione di protolinguaggi (a partire da Homo erectus)
- Fase 3: Creazione di linguaggi complessi (Homo sapiens)
Incremento della capacità cranica dagli ominidi all'Homo sapiens
L'incremento del volume craniale degli ominidi inizia dall'homo habilis e accelera con l'homo erectus: l'ipotesi più accreditata per quest'incremento, fatta da antropologi, neuroscienziati e linguisti, è lo sviluppo del linguaggio e, in particolare, della capacità simbolica che il linguaggio consente e sollecita. La capacità cerebrale passa dagli 800cm3 dell'homo erectus ai circa 1350cm3 dell'homo sapiens sapiens in circa 700.000 anni. (Cliccare per ingrandire)
Il paradosso energetico dell'Homo sapiens: un metabolismo veloce per alimentare l'elevato fabbisogno energetico del cervello
L'aumento delle dimensioni del cervello che caratterizza gli esseri umani è strettamente legato a un aumento del metabolismo basale - la quantità di energia necessaria per mantenere il funzionamento a riposo del corpo, che indica una maggiore attività metabolica degli organi - e a un cambiamento nella destinazione dell'energia prodotta. A queste conclusioni sono arrivati nel 2016 un gruppo di ricercatori guidati dall'antropologo Herman Pontzer (vedi bibliografia 2016) che hanno messo in luce quello che è stato chiamato il "paradosso energetico" della nostra specie, che "rispetto agli altri primati non solo ha un cervello grande, ma allo stato naturale si riproduce più spesso, alleva molto a lungo piccoli che crescono lentamente e ha una vita particolarmente lunga. Tutte caratteristiche molto costose in termini di energia e che, a priori, si potrebbero considerare difficili da conciliare. Confrontando il metabolismo basale di esseri umani e grandi scimmie, i ricercatori hanno scoperto che, una volta corretti i dati in base alle dimensioni corporee, in media gli esseri umani consumano ogni giorno 400 chilocalorie più di scimpanzé e bonobo, 635 più dei gorilla e 820 più degli oranghi. Questo metabolismo più veloce può essere sostenuto grazie a un'elevata percentuale di riserve di grasso corporeo, nettamente superiori a quelle degli altri primati, che restano "magri" anche in condizioni di cattività e sovralimentazione. Inoltre, la nostra specie è l'unica in cui c'è una significativa differenza di genere nelle riserve di grasso: nei maschi arrivano in media al 22,9 per cento, mentre nelle donne toccano il 41,7."
Un altro studio, di un gruppo di ricercatori guidati dall'antropologo Christopher Kuzawa (vedi bibliografia) , suggerisce che: "il nostro organismo, nell'infanzia, non riesce a crescere velocemente quanto gli altri mammiferi a causa delle enormi risorse richieste per alimentare il cervello umano in via di sviluppo”, Kuzawa scrive:
Un periodo prolungato di infanzia e crescita giovanile è una caratteristica distintiva della storia della vita umana. Rispetto ad altre grandi scimmie, la prole umana viene svezzata presto, portando a un lungo periodo di dipendenza dalle risorse acquisite piuttosto che dal latte materno. Sebbene questo singolare modello riproduttivo umano sia visto come accorciare gli intervalli tra le nascite e quindi aumentare la fertilità, ciò che è meno chiaro è perché gli umani crescono così lentamente durante l'infanzia. Sebbene la maggior parte dei primati cresca più lentamente degli altri mammiferi, l'infanzia umana e la crescita giovanile si distinguono come insolitamente lente anche dai primati e dalle grandi scimmie, durante i quali procede a un ritmo più tipico dei rettili che dei mammiferi. Nell'uomo, una considerevole percentuale di crescita del preadulto è rinviata fino allo scatto di crescita puberale, quando il tasso di crescita aumenta notevolmente e si raggiunge la dimensione dell'adulto. [...] La constatazione che il glucosio nel cervello umano richiede il picco durante l'infanzia e l'evidenza che il metabolismo del cervello e il tasso di crescita del corpo coprono inversamente lo sviluppo, supportano l'ipotesi che gli alti costi dello sviluppo del cervello umano richiedono un rallentamento compensativo del tasso di crescita del corpo.
La specie umana, nel corso della sua evoluzione, ha sviluppato un metabolismo veloce per dirottare le riserve energetiche del grasso corporeo a favore del fabbisogno del cervello
Tripartizione evolutiva del cervello
Il paradigma della tripartizione evolutiva del cervello venne proposto dal neurofisiologo Paul D. MacLean e suddivide il cervello umano in tre stati evolutivi (diversi ma strettamente interconnessi): il primo e più antico è il cervello rettiliano, sede degli istinti primari e delle funzioni vitali; il secondo è il cervello emotivo (sistema limbico), tipico dei mammiferi e delegato alla gestione delle emozioni; il terzo, ed evolutivamente più recente, è la neocorteccia nella quale è riposta tutta l'attività inerente il pensiero e il linguaggio dell'uomo moderno.
Relazione tra abbassamento della laringe e sviluppo del linguaggio
L'abbassamento della laringe è stato associato alla condizione fondamentale per lo sviluppo del linguaggio. Quest'evento datato circa 200.000 anni fa, sebbene importante, è ritenuto da T.Deacon soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente. Scrive Deacon (p.342):
L'aumento incrementale del volume cerebrale negli ultimi due milioni di anni ha progressivamente accresciuto il controllo della corteccia sulla laringe, e fu quasi certamente insieme causa ed effetto del crescente uso della simbolizzazione vocale. [...] il maggiore uso della vocalizzazione in epoche successive dell'evoluzione del cervello avrebbe inevitabilmente imposto una selezione sulla struttura del tratto vocale ad accrescerne in quello stesso periodo la controllabilità.
I fattori che contribuirono alla coevoluzione cervello-linguaggio furono, secondo Deacon (pp.387-396), almeno quattro:
- abbassamento laringeo e complessità sintattica
- rimodellamento del cervello per la parola e i simboli
- produzione degli utensili in pietra e caccia di gruppo
- approvvigionamento da parte del maschio, legame di coppia e contratti di accoppiamento
Sembra che l'uomo sia l'unico essere vivente ad avere una laringe permanentemente bassa. Tale caratteristica comporta un rischio per la sopravvivenza che l'evoluzione ha ritenuto di dover ignorare di fronte ai vantaggi del linguaggio
Nell'Australopiteco, la laringe, organo situato alla fine della trachea e contenente le corde vocali, si trovava in una posizione più elevata nel canale respiratorio, permettendo così un maggiore spazio per la deglutizione del cibo ma impedendo l’articolazione dei suoni e, conseguentemente, il linguaggio. L’emissione di suoni che un australopiteco poteva produrre era probabilmente molto simile a un latrato. Il processo evolutivo ha dato vita a un mutamento genetico grazie al quale la laringe si è abbassata, il canale fonatorio si è allargato, la lingua è arretrata diventando più mobile e flessibile favorendo così la modulazione dei suoni. Scrivono Antonino Pennisi e Alessandra Falzone nel libro "Il prezzo del linguaggio" (pp. 100-101):
Sulla base di studi condotti sia su reperti di ominidi pre-sapiens sia su primati non umani, Lieberman sostiene per esempio che l'uomo sia l'unico essere vivente ad avere una laringe permanentemente bassa. Il linguista americano arriva a questa conclusione appoggiandosi sulla valutazione del rischio per la sopravvivenza che comporta l'abbassamento della laringe. Tale caratteristica anatomica, infatti, determina la condivisione di un tratto del canale di passaggio del cibo e dell'aria (faringe). Durante la deglutizione il canale della respirazione viene chiuso tramite l'epiglottide per impedire che residui liquidi e/o solidi della masticazione, dopo aver attraversato la faringe, possano finire nella trachea ostruendola e impedendo la respirazione. Se questa operazione non viene eseguita correttamente si corre il rischio di soffocare, un rischio che connoterebbe come svantaggioso, e dunque selezionabile negativamente, il tratto vocale umano se non fosse stato associato a un vantaggio talmente forte da superare qualsiasi effetto negativo.
Vantaggi della comunicazione simbolica
Solo un grande numero di benefici adattativi può spiegare lo sforzo che la specie Homo fece per dotarsi di un linguaggio sempre più complesso: dovevano essere benefici così importanti per la sopravvivenza della specie da rendere fondamentale tale sforzo di apprendimento. A questo proposito scrive Deacon (p.364):
Si potrebbe intessere un racconto plausibile praticamente da quasi ciascuna delle miriadi di potenziali vantaggi propri di una comunicazione più efficiente: organizzare le battute di caccia; spartirsi il cibo; comunicare informazioni sulle fonti di cibo distribuite; pianificare la guerra e la difesa; trasmettere l'abilità nella creazione di utensili; condividere importanti esperienze passate; stabilire legami sociali tra individui; manipolare potenziali rivali o partner sessuali; accudire e addestrare i giovani; e si potrebbe proseguire.
L'importanza dell'impiego della comunicazione per ognuna delle possibilità d'uso prima citate ha contribuito, secondo Deacon, a determinare una pressione selettiva che ha incrementato ulteriormente le facoltà simboliche e ampliato la capacità cranica e, in particolare, la neocorteccia. La simbolizzazione è l'architrave di tutte le relazioni umane, e i simboli che stabiliscono, ad esempio, le relazioni riproduttive richiedono processi di costruzione molto ritualizzati. Scrive Deacon (p.392):
La costruzione simbolica in atto in queste cerimonie (rituali del matrimonio e della pubertà) non implica tanto la dimostrazione di determinate relazioni simboliche, quanto l'uso degli individui e delle azioni come occorrenze simboliche. I ruoli sociali vengono ridefiniti e gli individui assegnati esplicitamente ad essi. Moglie, marito, guerriero, suocero, anziano - sono tutti ruoli simbolici, non ruoli riproduttivi, e in quanto tali definiti entro un sistema completo di ruoli simbolici alternativi o complementari.
La simbolizzazione è l'architrave di tutte le relazioni umane, essa fornisce un efficace sistema di riferimento per "generare" nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata"
Il mondo virtuale in cui la simbolizzazione ci fa vivere
Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri. Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata" (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni) che è diventato il paradigma della comunicazione di massa e, oggi, del web (che viene impropriamente chiamato mondo virtuale ma che è solo una parte del mondo virtuale di ogni individuo). L'essere umano è il solo a poter vivere, non solo nel mondo reale, ma anche in molti "mondi possibili".
Simbolizzazione
Whoever gave, gave.
Who has had, has had.
Who has had, has had.
Il vignettista Tullio Altan usa spesso l'ombrello (simbolo) come segno del 'prenderla in quel posto' (concetto), che ha un referente nella realtà (oggetto) che corrisponde ad un peggioramento della condizione umana (di solito un aumento delle tasse per il cittadino medio e problemi con la giustizia per i governanti). Questa vignetta a sua volta è un 'simbolo' per il giornale che l'ha pubblicata (L'Espresso) di un 'concetto' che si può riassumere con "la legge è uguale per tutti" che rappresenta la volontà di far pagare a Berlusconi i suoi misfatti (oggetto). Ma più in generale le vignette di Altan sono un 'simbolo' (per i lettori che scelgono L'Espresso) di un 'concetto' che si può definire con "non sopportiamo le ingiustizie politiche" che rappresenta l'analisi della realtà politica e sociale italiana (oggetto).
Processo semiotico
Per i linguisti Richards e Ogden, una cosa (simbolo) evoca un concetto mentale (idea) che ha un referente nella realtà (oggetto). Secondo il filosofo Charles S. Peirce, in ogni situazione pratica di vita agiscono sempre tre elementi, che fondano la teoria dei segni (gli stessi di Richards e Ogden ma diversamente denominati): segno, interpretante e oggetto.
Alcune definizioni
Cos'è un segno?
- "E' segno ogni cosa che possa essere assunta come un sostituto significante di qualcos'altro." (Umberto Eco - p.17 Trattato di semiotica generale - Bompiani)Cos'è un simbolo?
- Un segno si trasforma in un simbolo quando gli viene attribuito lo stesso significato da due o più persone diventando così un fatto sociale. Nella definizione di G.Zagrebelsky: "Il passaggio attraverso il quale dal segno inteso singolarmente si passa alla medesima percezione di ciò a cui esso allude da parte di due persone, o più persone, di tutte le persone, quello è il momento in cui il segno diventa veramente simbolo, come fatto psichico di natura sociale [...] Il simbolo è il punto di passaggio dalla soggettività all'oggettività dei significati" (p.13 Simboli al potere - Einaudi)
Un segno si trasforma in un simbolo quando gli viene attribuito lo stesso significato da due o più persone diventando così un fatto sociale
Conclusioni (provvisorie): Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri
Tendiamo a pensare all'uomo primitivo in modo errato a causa della limitatezza delle informazioni che abbiamo a disposizione; infatti, nella valutazione del grado di raffinatezza di una civiltà scomparsa, pesano sia la deteriorabilità dei materiali sia l'immaterialità delle tracce simboliche della cultura; a questo proposito l'antropologo e linguista Terrence W.Deacon nel suo libro 'La specie simbolica' scrive: "I fattori primari che determinano cosa si rinviene e cosa va perduto a distanza di decine di migliaia, o milioni, di anni sono la deteriorabilità o la fragilità del materiale e la natura degli ambienti in cui sono stati lasciati. In parole povere, vuol dire che gli utensili in pietra sono reperti fossili conservati, quelli in legno o cuoio no; oppure che le pitture sulle pareti delle grotte e le incisioni su pietra o avorio vengono preservate, ma non le decorazioni del corpo, i vestiti, le sculture di legno e quant'altro. La prevalenza dell'uso di simboli in una società, escludendo pure il linguaggio, non è nemmeno incorporata in alcun materiale, ma solo in rituali, consuetudini, e regole di vita quotidiana." Il linguista Derek Bickerton, negli anni '70, avanzò l'ipotesi che il linguaggio moderno sia piuttosto recente e che, in tempi più lontani, l'essere umano impiegasse un protolinguaggio, cioè un linguaggio rudimentale semplificato. Bickerton propose l'idea che l'evoluzione linguistica sia avvenuta in due tappe: dal protolinguaggio dell'Homo erectus (un protolinguaggio composto da un lessico ridotto e nessuna organizzazione grammaticale), al linguaggio complesso dell'Homo sapiens sapiens. Bickerton propose inoltre l'idea che l'introduzione di questo protolinguaggio abbia determinato un salto di qualità nell'organizzazione cerebrale e nel pensiero umano; infatti si può immaginare che la rappresentazione dei simboli linguistici, svincolata da una risposta motoria, si sia legata a rappresentazioni astratte, cioè a simboli con una pressione evolutiva richiedente un cervello di maggiori dimensioni. L'aumento delle dimensioni del cervello che caratterizza gli esseri umani è strettamente legato a un aumento del metabolismo basale - la quantità di energia necessaria per mantenere il funzionamento a riposo del corpo, che indica una maggiore attività metabolica degli organi - e a un cambiamento nella destinazione dell'energia prodotta. A queste conclusioni sono arrivati nel 2016 un gruppo di ricercatori guidati dall'antropologo Herman Pontzer che hanno messo in luce quello che è stato chiamato il "paradosso energetico" della nostra specie, che "rispetto agli altri primati non solo ha un cervello grande, ma allo stato naturale si riproduce più spesso, alleva molto a lungo piccoli che crescono lentamente e ha una vita particolarmente lunga. Tutte caratteristiche molto costose in termini di energia e che, a priori, si potrebbero considerare difficili da conciliare. Confrontando il metabolismo basale di esseri umani e grandi scimmie, i ricercatori hanno scoperto che, una volta corretti i dati in base alle dimensioni corporee, in media gli esseri umani consumano ogni giorno 400 chilocalorie più di scimpanzé e bonobo, 635 più dei gorilla e 820 più degli oranghi. Questo metabolismo più veloce può essere sostenuto grazie a un'elevata percentuale di riserve di grasso corporeo, nettamente superiori a quelle degli altri primati, che restano "magri" anche in condizioni di cattività e sovralimentazione. Inoltre, la nostra specie è l'unica in cui c'è una significativa differenza di genere nelle riserve di grasso: nei maschi arrivano in media al 22,9 per cento, mentre nelle donne toccano il 41,7.
Solo un grande numero di benefici adattativi può spiegare lo sforzo che la specie Homo fece per dotarsi di un linguaggio sempre più complesso: dovevano essere benefici così importanti per la sopravvivenza della specie da rendere fondamentale tale sforzo di apprendimento. A questo proposito scrive Deacon: "Si potrebbe intessere un racconto plausibile praticamente da quasi ciascuna delle miriadi di potenziali vantaggi propri di una comunicazione più efficiente: organizzare le battute di caccia; spartirsi il cibo; comunicare informazioni sulle fonti di cibo distribuite; pianificare la guerra e la difesa; trasmettere l'abilità nella creazione di utensili; condividere importanti esperienze passate; stabilire legami sociali tra individui; manipolare potenziali rivali o partner sessuali; accudire e addestrare i giovani; e si potrebbe proseguire." Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri. Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata" (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni) che è diventato il paradigma della comunicazione di massa e, oggi, del web (che viene impropriamente chiamato mondo virtuale ma che è solo una parte del mondo virtuale di ogni individuo). L'essere umano è il solo a poter vivere, non solo nel mondo reale, ma anche in molti "mondi possibili".
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La razionalità richiede impegno personale!
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Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)
Angelo Tartabini, Francesca Giusti (2006), Origine ed evoluzione del linguaggio - Liguori Editore
- Terrence Deacon (200), La specie simbolica, Coevoluzione di linguaggio e cervello
- Ray Jackendoff (1999), Possible stages in the evolution of the language capacity - Elsevier Science [554 citazioni]
- Terrence W. Deacon (2001), La specie simbolica - Coevoluzione di linguaggio e cervello - Fioriti Editore
- Olmo Viola (2014), Intervista a Ian Tattersall - Pikaia
- Herman Pontzer et Al. (2016), Metabolic acceleration and the evolution of human brain size and life history (PDF) [112 citazioni]
- (2016), Il metabolismo e le dimensioni del cervello - Le Scienze
- Cristopher Kuzawa et Al. (2014), Metabolic costs and evolutionary implications of human brain development (PDF) [382 citazioni] - PNAS
- Michela Pilloni (000), Dal protolinguaggio al linguaggio: storia di una coincidenza (PDF)
- Derek Bickerton (2016), Roots of language (PDF) [4110 citazioni]
- Tanya de Villiers (2006), Why Peirce matters: the symbol in Deacon’s Symbolic Species - ScienceDirect [7 citazioni]
- Ken Ramshoj Christensen (2001), The Co-evolution of Language and the Brain [37 citazioni]
- Terrence Deacon, Tyrone Cashman (2016), Steps to a Metaphysics of Incompleteness - ResearchGate
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Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)
Pagina aggiornata il 19 novembre 2023